Rosia Montana e l’oro.

Riportiamo la seguente notizia seppur non collegata a CMC. Convinti che
l’azienda ravennate sia, putroppo, solo una fra le tante ad aver fatto
della devastazione la propia fonte di profitto. E convinti che dietro a
queste ditte c’è un sistema che propone lo sviluppo che esse
contribuiscono a costruire: è questo ciò a cui bisogna resistere.

Una feroce devastazione ambientale sta avendo luogo in Romania:La
società Rosia Montana Gold Corporation (Rmgc, joint-venture tra la
società canadese Gabriel Resources e l’azienda pubblica rumena Minivest)
ha acquistato l’80% del territorio del comune di Rosia Montana per un
progetto e dir poco perverso. Vuole distruggere circa 50 km² di
territorio naturale nella zona di Rosia Montana in Romania, per
costruire la più grande miniera a cielo aperto d’Europa. La zona di
Rosia Montana, sui monti Apuseni, non lontano dalla citta di Alba Julia,
è stata sfruttata dal punto di vista minerario fin dal tempo dei romani.
I filoni d’oro si sono esauriti già da lungo tempo, ma questo minerale è
ancora presente nel sottosuolo in una discreta quantità, ma estremamente
disperso.Cosa hanno pensato allora i magnati canadesi? Di devastare il
paesaggio scavando quattro enormi buche per un’area totale di ben 16
km², in modo che si possa separare l’oro così esposto dal resto della
roccia usando pericolosi composti al cianuro. I residui della
lavorazione conteneti il cianuro dovrebbero poi confluire dentro un lago
artificiale di 6 km² che verrebbe realizzato in una valle vicina, con
una diga alta ben 180 m. Complessivamente sono 48 i km² di territorio
che verranno in qualche modo rovinati dal progetto. Nel 2000 presso Baia
Mare una diga analoga che chiudeva un bacino pieno di cianuro cedette,
le acque si riversarono nel fiume Tisza e poi nel Danubio, uccidendo i
pesci e contaminando le riserve idriche di 2 milioni di persone.
Per scavare le loro buche della miniera, dovrebbero essere deportate
oltre 2000 persone e distrutte 900 abitazioni. Il progetto è sostenuto
dall’arroganza dei dollari e dall’arroganza del governo canadese che
appoggia la società fantasma Gabriel Resources. Il governo della Romania
potrebbe essere comprato a suon di dollari con la promessa di portare
sviluppo in questa regione montagnosa e periferica.
Come è possibile parlare di sviluppo, se il capitale finanziario
intende semplicemente portare via l’oro dal territorio lasciando agli
abitanti (umani e non umani), un ecosistema e un paesaggio devastato e
un lago pieno di veleni?

http://www.youtube.com/watch?v=aHqyTc54_Lc

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11 genn 2013

Chiomonte, Valsusa, 11/01/2013. Striscione contro la CMC.

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La galleria della CMC

23-12-2012-13.00.18_2

23.12.2012, Chiomonte, Valsusa. Cantiere per la costruzione del TAV Lione-Torino.

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Come si cattura valore dalla terra

La Quadrilatero è una “grande opera” di cui nessuno parla. Porterà traffico e capannoni nel cuore verde d’Italia, tra Marche e Umbria 

di Luca Martinelli – 4 ottobre 2010

L’attacco al “cuore verde” dell’Italia, il territorio dell’Umbria e le
zone interne delle Marche, avanza lungo due fronti paralleli. Le
“truppe” muovono dall’Adriatico sotto le insegne della Quadrilatero
Umbria-Marche spa, una società pubblica di progetto creata ad hoc
dall’Anas per realizzare il raddoppio delle statali 76 (Val d’Esino), 77
(Val di Chienti) e 318 (di Valfabbrica).
L’“Asse viario Umbria-Marche e Quadrilatero di penetrazione interna” è
l’ennesima opera pubblica figlia di un’idea di sviluppo economico
trascinato dalla gomma: le vallate saranno solcate da viadotti, le
montagne sventrate e attraversate dalle gallerie. Il conto lo paga lo
Stato: un costo stimato di oltre due miliardi di euro (2,233) fa entrare
il “Quadrilatero” nella top ten dei progetti più costosi per il Paese,
in compagnia -tra gli altri- del Mose (vedi Ae 113), del Ponte sullo
Stretto di Messina, della linea ad alta velocità tra Torino e Lione.

I cantieri sono aperti lungo la Ss 77 che attraversa la “Val di
Chienti”, nel tratto tra Pontelatrave e Foligno. La maggior parte, tra
quelli che visitiamo, sono spiazzi tra la fine di una galleria e
l’inizio della successiva. Le voragini nella montagne avanzano di
qualche metro ogni ora.
Lungo i 38 chilometri del nuovo tracciato saranno presenti ben 15
tunnel (per oltre 22 chilometri) e 8 viadotti. “Con la variante, ci
saranno dieci chilometri in meno tra Muccia e Foligno, anche se la vera
differenza la farà la velocità di percorrenza, che passerà a 110 km/h”,
spiega l’ingegner Andrea Saralvo, responsabile dell’Alta sorveglianza
per Quadrilatero spa.
La Ss 77 è, in gergo, il “maxilotto 1”: i lavori, che valgono oltre un
miliardo di euro, sono affidati a Val di Chienti scpa, una società di
progetto costituita nel maggio del 2006 da un raggruppamento di imprese
formato dall’austriaca Strabag (uno dei maggiori gruppi di costruzioni
in Europa, 36%), la Cooperativa muratori cementisti di Ravenna (Cmc,
28%), Grandi Lavori Fincosit (28%, impegnata tra l’altro sui cantieri
lombardi della Brebemi) e Consorzio Stabile Centritalia (Coci, 8%). “Val
di Chienti è il ‘contraente generale’, responsabile della realizzazione
e della direzione dei lavori, con un contratto di tipo ‘build and
design’” continua Saralvo. È un’associazione temporanea d’imprese (Ati)
anche la società che fornisce il calcestruzzo. Si chiama San Francesco e
dentro ci sono i big del cemento, da Calcestruzzi (gruppo Italcementi) a
Colabeton (Colacem, gruppo Colaiacovo).
Cooperative rosse e gruppi privati lavorano insieme al progetto che,
quaggiù, “vogliono tutti”: i maggiori sponsor del Quadrilatero sono il
senatore Pdl Mario Baldassarri, di Macerata, già vice ministro
dell’Economia (2001-2006) e segretario del Comitato interministeriale
per la programmazione economica (Cipe), il presidente Pd della Regione
Marche, Gian Mario Spacca, che ha da poco iniziato il suo secondo
mandato, e i Merloni, gli industriali di Fabriano. Merloni sarebbe “il
nume tutelare della Quadrilatero” secondo Alessandro Campetella, membro
della segreteria provinciale del Prc a Macerata. Spacca ha aperto la
giunta regionale all’Udc, cui ha concesso tra le altre le deleghe alla
Viabilità e al Governo del territorio e urbanistica, affidate a Luigi
Viventi, fabrianese e direttore del personale alla Antonio Merloni
Elettrodomestici. Legambiente Umbria ha provato, nell’aprile del 2010, a
chiedere una presa di posizione contraria al Quadrilatero alla nuova
presidente Pd Catiuscia Marini. L’appello è rimasto senza risposta: “Ci
aspettavamo una certa discontinuità. In tempi di crisi uno dovrebbe
individuare le priorità -racconta Alessandra Paciotto, presidente della
sezione umbra dell’associazione ambientalista-. In Umbria abbiamo una
rete ferroviaria secondaria che è fondamentale. La Ferrovie centrale
umbra collega San Sepolcro (Ar)-Città di
Castello-Umbertide-Perugia-Massa Martana-Terni, da dove prosegue fino a
Roma. Solo adesso la stanno elettrificando, ma l’altro giorno il nuovo
assessore regionale ad Ambiente e infrastrutture ci diceva che, con i
tagli ai trasferimenti, la Regione non avrà più la possibilità di
mantenerla”.
Lungo il tracciato della “vecchia” Ss 77, basta scollinare a Colfiorito
per trovarsi nelle Marche di fronte agli stessi problemi: “C’era
necessità di un’opera che mettesse in sicurezza l’asse viario delle
statale, magari un by pass per non attraversare il centro storico di
Serravalle di Chienti, ma da lì a costruirci sopra questo castello…”
spiega Gianfranco Borgani. Avvocato, membro della segreteria regionale
di Legambiente, Borgani era consigliere provinciale per la Margherita
quand’è nato il progetto Quadrilatero: “Un attraversamento
dell’Appennino c’è già, su rotaia. Ma la linea Civitanova
Marche-Fabriano, collegata via Orte a Roma, è percorsa da una littorina
a gasolio. Non è nemmeno elettrificata e rischia la chiusura”. Eppure la
priorità sembra essere la strada, per guadagnare un quarto d’ora: “Noi
ambientalisti abbiamo fatto una valutazione non romantica. Non ci siamo
limitati a guardare gli scenari che abbiamo in certe valli, abbiamo
letto con attenzione il Piano territoriale di coordinamento (Ptc)
provinciale, che invita a non attuare una ‘saldatura’ tra le aree
vallive dei fiumi Chienti e Potenza e la ‘costa’, già fortemente
urbanizzata, che è ormai arrivata a 15 chilometri dalla linea del mare”.
Questi argomenti non muovono di una virgola il punto di vista di
Confindustria Marche: Paola Bichisecchi, direttore dell’associazione
industriali, vede nel Quadrilatero un’opera in grado di superare
l’isolamento strutturale di cui soffrirebbe la regione. “È lo sviluppo
di un nuovo ‘corridoio’, Barcellona-Civitavecchia-Ancona”, dice. Proprio
Barcellona, in Spagna.

L’Italia apre al mondo una nuova “porta sui Balcani”, come spiega
Bichisecchi, ma tutto questo passa sotto silenzio. Il Quadrilatero è una
“grande opera”, una di quelle “prioritarie” e inserite nel 2001
all’interno della Legge Obiettivo (vedi cronologia), ma al contrario del
Ponte sullo Stretto non ha mai conquistato una prima pagina. Sarà,
forse, perché anche i giornalisti faticano a comprendere la portata di
un’opera “creata” sommando una dozzina di interventi minori, a cavallo
tra due regioni.
Eppure, l’obiettivo dell’Anas con la Quadrilatero è molto “ambizioso”.
E non è solo quello di avvicinare la costa adriatica a quella tirrenica,
di ridurre i tempi di percorrenza tra Falconara, a pochi chilometri da
Ancona, e Perugia, a Nord, e tra Civitanova Marche (in provincia di
Macerata) e Foligno (Pg), più a Sud.
Le strade da sole non garantiscono la crescita: per “rivitalizzare aree
economiche in declino partendo dalle infrastrutture viarie”, come ha
riassunto l’inserto “Affari&finanza” de la Repubblica, il 12 aprile
scorso, c’è bisogno di altro: la vera novità del progetto Quadrilatero è
rappresentato così dal Piano di area vasta (Pav). Se è vero che nuove
strade portano (traffico e) nuovi capannoni, la loro realizzazione può
essere “favorita”, ad esempio pensando agli insediamenti commerciali e
industriali come “forme di infrastrutturazione complementare alle opera
viarie”, come spiega l’architetto Fabrizio Romozzi, direttore generale
della Quadrilatero. Sono 15 le aree leader (vedi box qui sotto) pensate
nell’ambito del Pav lungo gli assi viari tra Marche e Umbria, 8 sono
state progettate e per 4 sono già state addirittura bandite gare. Solo
quelle marchigiane occuperanno circa 400 ettari.
Un imprenditore dovrebbe scegliere di investire in un’area leader
perché, come spiega Romozzi, ha “un vantaggio: la Legge Obiettivo
riconosce la pubblica utilità dell’opera, ed eventuali ricorsi non
possono fermarla; per l’acquisizione dei terreni, che avverrà con fondi
pubblici, c’è un vincolo preordinato all’esproprio, e per le
‘compensazioni’ non potrà ricevere richieste ad hoc dai Comuni”. Comuni
e Regioni, infatti, hanno firmato Accordi di programma con la società
Quadrilatero. Regione Umbria e Regione Marche hanno sposato il progetto,
diventando socie dell’Anas nella spa. Lo stesso ha fatto la Provincia di
Macerata.
A Milano e Roma, all’inizio di maggio 2010, la Quadrilatero ha
organizzato incontri con gli imprenditori per presentare al mercato, in
compagnia dei consulenti (advisor) PricewaterhouseCoopers, Unicredit e
Cassa depositi e prestiti, l’Area leader 5 di Falconara/Chiaravalle.
“polo fieristico-direzionale” di 115mila metri quadrati su una
superificie di 480mila. Secondo Romozzi, c’è spazio “nel centro
commerciale non ci sarà food, cibo. Sarà un mall di 60mila metri
quadri”. L’investimento stimato per l’Al 5 è di 135 milioni di euro.
Ma chi otterrà la concessione dovrà riconoscere per i prossimi 30 anni
un canone di 2,5 milioni alla società Quadrilatero. Questo meccanismo lo
definiscono “cattura di valore”. Alla base c’è un’idea semplice: “Il
potenziamento o la realizzazione delle infrastrutture viarie, oltre che
a migliorare la qualità della vita del territorio, crea le condizioni
per un incremento dello sviluppo economico -spiega la società-. Una
parte del beneficio economico derivante viene intercettato dalla
Quadrilatero per cofinaziare i lavori sull’infrastruttura stessa”.
Intercettare, beneficio, cofinanziare: significa che l’Anas non fa più
le strade, ma ricorre a forme “alternative” di finanziamento.

“Pay if you receive benefit”, paghi se ne ricavi un beneficio, traduce
l’idea di cattura di valore il professor Lanfranco Senn, ordinario di
Economia alla Università Bocconi e direttore del Centro di ricerca in
economia regionale, trasporti e turismo. Si tratta, spiega, di un
“meccanismo di corresponsabilizzazione”.
Nel caso del Quadrilatero, il 18,2 per cento del budget, quasi 400
milioni di euro, dovrebbe arrivare da Comuni e Camere di commercio. In
particolare, i primi versano una tantum il 70% degli oneri di
urbanizzazione per la costruzione delle aree leader, e per 30 anni il
gettito Ici sugli immobili realizzazioni nelle Al. Le Camere di
commercio di Ancona, Macerata e Perugia (che pure sono entrate nel
capitale della Quadrilatero spa), invece, versano “alla causa” per 30
anni i contributi derivanti da un aumento dell’iscrizione, del 10 o del
20 per cento. “È un modello di ‘PPP+P’, partnership pubblico privato
plus il pubblico locale” teorizza il Condirettore generale dell’Anas
Stefano Granati. E “la Camera di commercio di Macerata ha già accumulato
35-40 milioni di euro con l’aumento della quota associativa”, racconta
il vicepresidente Mario Volpini.
L’ingegner Saralvo assicura però che le “sue” strade vanno avanti a
prescindere, con i finanziamenti pubblici del Cipe. Che si realizzi o
meno lo sviluppo economico promesso dalle aree leader, cioè, entro il
2013 tre strade per quattro corsie a scorrimento veloce taglieranno il
cuore verde del Paese.

Il battesimo nel 2001
Il 3 dicembre 2009 sono stati inaugurati i primi 2,7 chilometri della
“nuova” Ss77 della Val di Chienti, tra Pontelatrave e Collesentino. È il
cosiddetto sublotto 1.1 del Lotto 1 della Quadrilatero. A quel punto,
erano passati quasi nove anni dalla data di nascita ufficiale del
progetto “Quadrilatero”, battezzato il 21 dicembre 2001 nell’ambito
della cosiddetta “Legge Obiettivo” (443/2001). Il progetto dell’Asse
viario Marche-Umbria e Quadrilatero di penetrazione interna (le cui
opere principali sono il completamento del raddoppio delle Ss 76 e 318
Falconara Marittima-Foligno, della Ss77 Civitanova Marche-Perugia, una
strada Pedemontana tra Fabriano e Muccia-Sfercia) è, infatti, una delle
infrastrutture definite “d’interesse nazionale” e ammesse al
finanziamento statale nell’ambito della legge sulle “grandi opere” del
governo Berlusconi.
Il 6 giugno 2003 viene fondata, a Roma, la Quadrilatero Marche Umbria
Spa, una società pubblica di progetto, senza scopo di lucro, i cui
azionisti sono Anas (51 per cento) e Sviluppo Italia (49 per cento).
Ancora oggi, Anas -il gestore della rete stradale d’interesse nazionale,
spa controllata dal Ministero dell’Economia- è l’azionista di
riferimento, con il 91,46% del capitale. Gli altri azionisti sono
Regione Marche, Sviluppo Umbria (Regione Umbria), Provincia di Macerata,
Provincia di Perugia e le Camere di Commercio di Macerata, Perugia,
Ancona.
Il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica),
con la delibera 13 del 27 maggio 2004, determina in 2,15 miliardi di
euro il costo complessivo del progetto (oggi 2,233): oltre 2 miliardi
sono destinati alla realizzazione delle opere viarie di cui sopra,
mentre 63,2 (oggi 88) serviranno ad espropriare i terreni su cui
verranno impiantate le aree leader, aree produttive e “poli di
eccellenza” da costruire lungo gli assai viari.
Con la delibera Cipe 101 del marzo 2006 è stata individuata la
collocazione delle prima 8 aree leader.
Il 20 aprile 2006 vengono affidati i lavori per il Lotto 1 (Ss77); il
23 giugno quelli per il Lotto 2 (Ss76, Ss 318 e Pedemontana). Durante il
2009 (agosto e novembre) sono stati pubblicati i bandi di gara per le
prime 4 aree leader. La fine dei lavori sul sistema viario è prevista
per il 2013.

Le critiche della Corte
La lente della Corte dei Conti si è posata sulla Quadrilatero
Marche-Umbria spa. I magistrati contabili, nella “Relazione sullo stato
di attuazione dell’Asse viario Umbria-Marche” (aprile 2009), hanno
evidenziato alcune criticità presenti nel progetto: “l’anomalia di una
‘infrastruttura pubblica strategica e di preminente interesse nazionale’
[…] che porta a finanziarie con fondi di pertinenza statale anche strade
provinciali, mostrano un non elevato grado di integrazione dell’intero
progetto”; un “certo grado di lentezza nella realizzazione”, che la
Corte fa derivare “dal carattere fondamentalmente eterogeneo degli 11
segmenti d’intervento di cui si compone il progetto complessivo”.
Il ritardo, continuano i magistrati nella loro relazione, dipende
“dalla complessità dell’articolazione organizzativa creata per dar corso
all’intervento (società pubblica > contraente generale > società di
progetto)”. È in discussione l’architrave della Legge Obiettivo (l.
443/2001).

La corsa alle aree leader
“Una strada sicura e veloce per investire in Italia? Una sola risposta:
investire nelle aree leader”. La vera novità progettuale della
Quadrilatero non sono le strade ma le cosiddette aree leader (Al), 15,
“un sistema di poli di eccellenza a sostegno delle attività ed a
servizio del territorio, strettamente connesse alla rete viaria”. Una
“forma di infrastrutturazione del territorio” complementare alla rete
stradale, e realizzata in deroga agli strumenti urbanistici:
l’inserimento all’interno della Legge Obiettivo riconosce, infatti, la
“pubblica utilità” dell’intervento.
Ecco allora, tra l’altro, un polo turistico-commerciale a Serrapetrona
(Mc), un polo produttivo agroalimentare a Muccia (Mc), una piastra
logistica a Fabriano (An), un’area di sosta a Gualdo Tadino (Pg). Le Al
(8 in fase di realizzazione) nascono dall’idea che “i nuovi insediamenti
produttivi, beneficiando del potenziamento viario, creano valore
aggiunto per la collettività e possono contribuire al tempo stesso a
cofinanziare l’opera”. Con i canoni di concessione delle Al: per gestire
il polo fieristico-direzionale di Falconara (An), ad esempio, viene
richiesto un canone annuale di 2,5 milioni di euro per 30 anni. Chi
vincerà la gara (il termine per la manifestazione d’interesse era il 31
maggio 2010) potrà costruire 475mila metri cubi su una superficie di
115mila metri quadrati.

L’economia della corsia
Lungo la costa marchigiana si continua a stendere asfalto
Le Marche hanno sete di strade. A Nord c’è da “completare” la
superstrada Fano-Grosseto; a Sud, Dante Merlonghi, un esponente
dell’Italia dei Valori che è stato membro del cda di Quadrilatero spa,
propone un “Quadrilatero Ascoli-Teramo-Giulianova-San
Benedetto/Grottammare”, a cavallo col territorio dell’Abruzzo. “Dal
centro-sinistra al centro-destra, tutti avanzano l’idea di usare lo
stesso meccanismo di valorizzazione della Quadrilatero Marche-Umbria, la
‘cattura di valore’ -racconta Michele Altomeni, già presidente della
cooperativa Mondo Solidale, fino a marzo 2010 consigliere regionale-.
Viene visto come un modello, da riproporre all’infinito”. In attesa di
nuovi attacchi all’entroterra marchigiano, lungo la linea di costa si
lavora alla terza corsia dell’autostrada A14, la Bologna-Taranto: un
osservatorio privilegiato sull’avanzamento dei cantieri è quello dei
cavalcavia che scavalcano l’A14 nel territorio di Senigallia, in
provincia di Ancona. Dove, a fianco della terza corsia, si costruisce
anche la “complanare”, una striscia d’asfalto a due corsie, lunga 8
chilometri con sei svincoli, 5 a Nord e 1 a Sud della cittadina (45mila
abitanti), e attraversamenti a raso. “È un’opera di compensazione
richiesta dal Comune ad Autostrade”, racconta Stefano Bernardini, membro
del comitato “Versus complanare”. Autostrade per l’Italia spa, la
società del gruppo Benetton che gestisce l’A14, sta realizzando l’una
(terza corsia) e l’altra (complanare) attraverso la controllata
Pavimental (di cui è azionista anche il gruppo Gavio). Nel 2006, quando
venne presentato il progetto, la complanare avrebbe dovuto essere una
bretella di adduzione all’A14; successivamente, è stata presentata come
strada di “scorrimento extraurbano”, tipologia che nemmeno esiste.
L’investimento, circa 100 milioni di euro, dovrebbe essere coperto da
Autostrade. Secondo Daniele, ingegnere civile con tesi sulla mobilità a
Senigallia, attivista del centro sociale “Mezza Canaja”, la complanare
non servirà a ridurre il traffico dalla statale 16, che attraversa il
centro della cittadina: “Una volta realizzata la terza corsia, è più
facile studiare un’ipotesi alternativa permettendone, ad esempio, un
utilizzo ‘dinamico’, senza pedaggio, tra i caselli di Marotta/Mondolfo,
subito a Nord di Senigallia, e di Marina di Montemarciano, in
costruzione a Sud della cittadina”. Bernardini spiega che “la città non
ha mai visto il ‘progetto’, che dal 2006 è stato modificato almeno tre
volte”. Marianna, del Mezza Canaja, è sarcastica: “Strada più grande
uguale meno traffico. Sappiamo che non è vero, ma questo raccontano ai
cittadini”.

Info: www.quadrilaterospa.it, la Quadrilatero Marche-Umbria spa;
www.areeleader.it, il sito dedicato ai progetti delle aree leader;
www.valdichienti.net, il contraente generale del maxilotto 1 della
Quadrilatero; www.versuscomplanare.com, il comitato cittadino che si
oppone alla costruzione della “complanare” di Senigallia (An);
csoamezzacanaja.noblogs.org, il centro sociale “Mezza Canaja” di
Senigallia (An)

Fonte: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2463

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Ponte sullo Stretto, Eurolink manda comunicazione di recesso

Il committente per la realizzazione del Ponte ha inviato al committente Società Stretto Messina la comunicazione di recesso, a tutela, così ha fatto sapere la capofila Impregilo, della posizione di tutti i partner

15-11-2012

Roma, 15 nov. Il general contractor Eurolink incaricato della
costruzione del Ponte sullo Stretto, a seguito del Decreto 187 per la
revisione del contratto, ha deciso di inviare al committente Società
Stretto di Messina la comunicazione di recesso dal contratto firmato nel
2005.

Nelle motivazioni, come si legge in un comunicato, la salvaguardia di
tutti i partners italiani e stranieri presenti nella compagine, cioè,
oltre ad Impregilo, la Sacyr (Spagna), la Società italiana per condotte
d’acqua, la Cooperativa muratori & Cementisti-C.M.C. di Ravenna, la
Ishikawajima-Harima Heavy Industries (Giappone) e Aci (Consorzio
Stabile).

Un segnale chiaro al Governo, quello di Eurolink, in vista delle
trattative per l’atto aggiuntivo sull’opera ce dovrà essere firmato
entro il primo marzo del 2013, pena la decadenza del contratto senza
alcuna pretesa di risarcimento danni, ma solo il pagamento degli oneri
per la progettazione oltre ad un 10% di indennizzo.

“Ciò nondimeno, tenuto conto dell’interesse preminente alla
realizzazione dell’opera – si legge nel comunicato di Impregilo sui
conti dei primi nove mesi dell’anno – il contraente ha altresì
comunicato la disponibilità a rivedere la propria posizione qualora il
committente manifestasse concretamente la volontà di realizzare il
progetto”

Fonte: http://www.ilghirlandaio.com/topnews/news_news-interna/1789/Ponte_sullo_Stretto_Eurolink_manda_comunicazione_di_recesso.html

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Amianto nelle scuole post sisma di Concordia. Dopo l’imbarazzo, la bonifica

Costruite nel tempo record di 57 giorni, il plesso per 700 alunni verrà chiuso dopo due mesi dall’inaugurazione per “rimozione del materiale e successiva sostituzione con terreno vegetale”. L’hanno rilevato Arpa e Ausl. Il sindaco Marchini si scusa. La costruzione venne affidata alle coop Cmc e Arco di Ravenna.

di Giovanni Stinco

“La realizzazione a tempo di record del nuovo polo scolastico
rappresenta per Concordia un momento storico, che ricorderà per sempre
il drammatico momento del sisma ma anche la straordinaria determinazione
nel ricostruire dimostrata dalle istituzioni.” Era stata presentata così
la ricostruzione delle scuole di Concordia, comune in provincia di
Modena colpito duramente dal terremoto di fine maggio. Per le scuole
solo 57 di giorni di lavori. Un piccolo record per un complesso di 34
aule in grado di ospitare quasi 700 alunni. Costo finale: 2.578.400
euro. Qualcosa però deve essere sicuramente andato storto, se a due mesi
dall’inaugurazione quelle scuole verranno chiuse, e per giunta per una
bonifica dall’amianto.

Dopo una serie di accertamenti compiuti da servizi di sanità pubblica
di Ausl e di Arpa, l’agenzia regionale per la prevenzione e l’ambiente,
il sindaco di Concordia ha deciso per la chiusura al pubblico nel
periodo natalizio. “In considerazione della destinazione ad uso
scolastico – si legge in un breve comunicato diffuso dagli uffici
comunali – l’area interessata sarà sottoposta a completa bonifica, con
rimozione del materiale e successiva sostituzione con terreno vegetale.
L’intervento sarà effettuato durante la sospensione dell’attività
scolastica natalizia e il servizio di sanità pubblica di Ausl ne
verificherà la correttezza esecuzione. In attesa della bonifica ed
esclusivamente a fini precauzionali l’area sarà resa inaccessibile”.
Fortunatamente nessun pericolo per i bambini, insegnanti e tutti quelli
che hanno frequentato il nuovo plesso scolastico. “L’autorità sanitaria
– specifica il comunicato – esclude la possibilità di rilascio di fibre
e rassicura sull’assenza di rischio per la salute pubblica”.

L’ordinanza del sindaco Carlo Marchini è arrivata dopo una serie di
prelievi di campioni di terreno nelle zone verdi dove sorgono la scuola
elementare e la scuola media. Dalle analisi è stata rinvenuta una
“modesta presenza di frammenti compatti di amianto”. Per informare e
anche rassicurare le famiglie l’amministrazione ha in programma un
incontro, nella serata di lunedì 10 dicembre, in cui interverranno anche
i responsabili dei servizi di Ausl, Arpa e della Regione. Una vicenda
che sicuramente sta causando qualche imbarazzo all’amministrazione,
visto che si ritrova a chiudere le nuove scuole a pochi mesi
dall’apertura a tempo di record. Ad occuparsi della gestione dei lavori
di costruzione delle scuole, in qualità di appaltatori, una Ati
(associazione temporanea di imprese) formata dalla Cmc di Ravenna,
l’Eschilo 1 srl di Roma e la coop ravennate Arco.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/10/terremoto-amianto-nelle-scuole-di-concordia-dopo-limbarazzo-parte-bonifica/441131/

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CMC E IL FANGO

TRATTO DA:http://www.fotoaeree.com

Dove metto questo fango?

Ravenna apre ad una Nuova Era: la Civiltà del Fango

Aree previste come deposito fanghi provenienti dalle vasche di colmata e dall’escavazione del Candiano. A Lido Adriano,  qui:

 

e anche qui:

e nell’entroterra di Punta Marina:

e anche nella cava Morina e Bosca,  lì vicino:

O, niente di meglio,  nella piallassa Baiona, zona Pontazzo, zona protetta del Parco del Delta:

Oppure continuando la criminale prosecuzione del progetto, da Via Vitalaccia, già coperta fino alle civili abitazione e in tutti i terreni agricoli, fino a Porto Fuori:

Tutti fanghi provenienti da ogni dove, ma anche dalle chiarissime e limpidissime vasche di colmata, abbondanti nel nostro esausto territorio; ( i colori dei fanghi nella foto sono … naturali!):

 

^^^^^^^^^^

12 milioni di metri cubi di fanghi d’escavazione del Candiano da spalmare sul territorio, per arrivare a quota 14 metri e mezzo!!! E per far cosa? Per fare arrivare le super navi porta-container!

…E così anche Ravenna avrà la sua “GRANDE OPERA” !

Certo! il periodo è di congiuntura assai favorevole; gli investimenti fioriscono in ogni settore; cresce l’occupazione! Un grande sviluppo ci attende!

Ma perchè noi ravennati siamo destinati a subire da sempre tutte le imposizioni di una Casta Politica che continua a proporci uno sviluppo illimitato senza che ne abbiamo un minimo di ritorno di benessere ambientale, assistenziale, di convivenza civile? Abbiamo tutte le risorse che altri Comuni non hanno: Porto, Polo Chimico, Polo Industriale, Litorale, Parco del Delta, Monumenti e Mosaici di rilevanza mondiale, Storia, Agricoltura… Dovremmo essere il Comune Italiano più ricco e a più alto grado di benessere collettivo e reddito pro capite con gli introiti, le compensazioni, le accise, i benefit. E invece…

…si pappano tutto LORO e i cittadini sono stati fottuti!

E anche questo sarà un grande business solo per LORO !

Il vice -sindaco in un’intervista su un giornale locale si è dichiarato soddisfatto che in Consiglio Comunale il progetto sia stato approvato senza voti contrari; e ha esternato quanto il progetto sia strettamente legato alla realizzazione dell’autostrada E55 , Orte- Mestre; una Grande Opera contestata, inutile e impattante ancor più della TAV  Lione – Torino. E come tutte le Grandi Opere utile solo a costruttori, cementificatori, affaristi, speculatori e mafiosi.

La Grande Opera del Porto – Candiano, inoltre, è DEMENZIALE. Si tratta, anche, di scavare un canale sul fondale marino in mare aperto, fino alla linea batimetrica dei 14 ,30 metri, quindi 4 miglia oltre le dighe  foranee, vale a dire PIU’ DI SETTE CHILOMETRI in mare aperto!

Chiunque sano di mente capisce che, per effeto delle correnti o della prima mareggiata, il canale sottomarino, scavato nel fondale sabbioso-melmoso,  si ricolma subito.

E’ qui  l’affare: tenerlo dragato perennemente.

E chi gestisce le draghe nel porto di Ravenna? CMC e Soci Vari ! E chi gestisce i trasporti di fanghi dragati? CONSAR e Soci Vari ! E chi gestisce le cave da riempire e riscavare?  EcoCave-Gama e Soci Vari;  sempre LORSIGNORI.

Sempre la CASTA Masson-Politico-Industrial-Curial-Coop-Bancaria!

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Tav, in Francia la Corte dei conti boccia il progetto: “Costi alti e ricavi a rischio”

CHE LA TAV NON SI DEVE FARE LO HANNO CAPITO PURE LORO…
 6 novembre 2012

di Andrea Giambartolomei | Il Fatto quotidiano | Nel parere fornito al primo ministro Ayrault, i magistrati rilevano il raddoppio dei costi della linea ferroviaria Torino-Lione. E citano studi secondo i quali l’opera non produrrà profitti neppure in uno scenario di ripresa economica. Il 3 dicembre vertice Monti-Hollande.

I costi sono aumentati troppo, da 12 a 26 miliardi di euro, e il flusso delle merci è diminuito. Sono alcune delle critiche al progetto dell’Alta velocità Torino-Lione espresse dalla Corte dei Conti francese. Ieri i magistrati contabili di Parigi hanno pubblicato il parere, fornito al primo ministro Jean-Marc Ayrault a inizio agosto, in cui vengono elencati i dubbi sul progetto. Si tratta di un documento importante in vista del vertice sul Tav tra Mario Monti e François Hollande a Lione il prossimo 3 dicembre.

“Il carattere internazionale del progetto, la sua anzianità e la sua complessità rendono difficile esprimere delle raccomandazioni”, scrive il presidente della Corte Didier Migaud, che chiede di non trascurare soluzioni alternative, cioè i miglioramenti della linea esistente, e di considerare delle misure per spostare il traffico transalpino dalla strada alla ferrovia. I costi del progetto vanno considerati in maniera sistematica, consiglia, tenendo conto della situazione finanziaria del Paese, della rendita dell’opera e della sua capacità di far crescere l’economia. Il documento della Corte ripercorre diverse obiezioni sollevate dai No Tav sul versante italiano.

I costi. Nel documento di quattro pagine, la Corte rivede l’aumento del budget del programma di studio e dei lavori preliminari, “stimato inizialmente a 320 milioni, poi a 371, è stato portato a 534,5 a partire dal marzo 2002, in seguito a 628,8 milioni nel programma del 2006. Le stime presentate alla conferenza intergovernativa del 2 dicembre 2010 l’hanno portato a 901 milioni”. Questo costo, quasi triplicato è dovuto alla realizzazione delle discenderie (gallerie), ai problemi geologici e, sul versante italiano, alle proteste e alla variazione del tracciato (da Venaus a Chiomonte), ricorda il presidente Migaud.

Per la parte comune del progetto, i dati del giugno 2010 prevedevano 10,259 miliardi di euro “senza spese finanziarie, manodopera e studi preliminari”, quasi due miliardi in più rispetto al 2003. Nel complesso, la stima del costo globale del progetto è passato da 12 miliardi nel 2002 a venti miliardi nel 2009 e poi a 26 miliardi “secondo gli ultimi dati comunicati dalla direzione generale del Tesoro”.

C’è poi la questione: chi pagherà? Se l’accordo del 30 gennaio scorso prevede una ripartizione dei costi della prima fase (42 per cento alla Francia, il resto all’Italia), mentre la seconda fase (acquisti dei terreni, reti deviate) pesa tutta sull’Italia, non si sa di preciso quanto sborserà l’Unione europea per i lavori.

I flussi. Il progetto è stato “concepito in un contesto di forte crescita dei traffici attraverso l’arco alpino”, scrive Migaud, per questo ora bisognerebbe rivalutare i flussi. Nel 1991, negli anni in cui venne lanciata l’idea della Torino-Lione, il rapporto Legrand prevedeva che i passaggi di merci sarebbero più che raddoppiati tra il 1987 e il 2010, ma già nel 1993 uno studio riteneva che quel rapporto sovrastimasse i passaggi e la crescita. Poi, dal 1999, i traffici sono diminuiti: da una parte la chiusura temporanea del Monte Bianco, dall’altra l’apertura di nuove vie in Svizzera, la fine dei transiti notturni e la crisi. Tutti i passaggi tra Francia e Italia ne hanno risentito, fatta eccezione di Ventimiglia su cui arrivano i flussi dalla Spagna. Solo nel 2035, ricorda la Corte citando uno studio dei flussi voluto da Ltf (Lyon-Turin ferroviaire, società che gestisce l’opera), è prevista la saturazione della linea storica.

Per queste ragioni, tra costi eccessivi e dubbi incassi dei pedaggi, la Corte dei conti ritiene che il progetto abbia una rendita poco certa. Anzi, sottolinea Migaud, “secondo gli studi economici voluti nel febbraio 2011 da Ltf sul progetto preliminare modificato, il valore attuale netto è negativo in tutti gli scenari”, che siano di crisi o di ripresa.

Tuttavia la politica non sembra turbata dal documento. Nella sua risposta a Migaud, il premier Ayrault ribadisce le intenzioni politiche del governo, gli impegni internazionali e in particolare gli accordi con l’Italia. Domani saranno invece i senatori delle regioni francesi interessate dalla linea, Rhones-Alpes e Savoia, a lanciare un appello a sostegno del Tav.

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Strumenti di ingegneria finanziaria

Di seguito un approfondimento per fornire qualche spiegazione riguardo nuovi strumenti di ingegneria finanziaria, ovvero quei sistemi ideati dallo stato per trovare finanziamenti da investire làddove vuole, grandi opere e società che le realizzano comprese.

Per maggiori informazioni invitiamo a consultare il seguente sito: www.notavbrennero.eu

 

NUOVI STRUMENTI DI INGEGNERIA FINANZIARIA 2011/2012

Con le manovre finanziarie del 2011, la legge stabilità del 2012 e con una parte del pacchetto dei decreti legge emanati fino all’estate del 2012, i governi succedutisi hanno cercato di favorire la costruzione delle infrastrutture strategiche in Italia, che porta inevitabilmente con sè lo spostamento della ricchezza dalla collettività a soggetti privati. Questi nuovi strumenti finanziari in sostanza prendono atto del fatto che risorse pubbliche non ce ne sono più nemmeno per essere rubate e che quindi è necessario:

1) incentivare fortissimamente i capitali privati affinchè siano attratti ad intervenire nella costruzione di grandi opere, anche di quelle che neppure teoricamente assicurano redditività economica;

2) mettere a punto meccanismi per provare a drenare verso le grandi opere persino il risparmio privato.

A differenza di quello che racconta la propaganda dei promotori, le infrastrutture strategiche hanno avuto uno sviluppo meno rapido di quello programmato dal mondo degli affari. Questo è dovuto all’opposizione decisa che queste opere hanno incontrato quasi ovunque e alla carenza di risorse pubbliche. Sta entrando in crisi quindi il c.d. modello TAV messo a punto tra gli anni 1991/2001 basato su affidamenti a contraente generale per costruire le opere senza obbligo di gestirle a costruzione compiuta. Proprio per questo sono stati messi a punto nel 2011 e 2012 nuovi strumenti di ingegneria finanziaria caratterizzati principalmente:

  • dalla mobilitazione di capitale privato di varia provenienza (per lo più bancaria ma anche imprenditoriale) e da una quota sempre più ridotta di capitale pubblico
  • dallo straordinario impulso alla finanza di progetto con l’allungamento dei tempi di concessione della gestione delle opere e con lo spostamento verso il committente pubblico del rischio nella gestione dell’opera costruita
  • da nuovi istituti per operare in deficit di bilancio (obbligazioni di progetto, contratti di disponibilità, obbligazioni di scopo degli enti locali) e varie tipologie di imposizioni fiscali mirate per recuperare anticipatamente risorse dai soggetti che beneficerebbero di un’opera (la c.d. cattura anticipata del valore immobiliare e commerciale)
  • dal rischio di crescita esponenziale del debito pubblico
  • dal drenaggio del risparmio privato utilizzandolo come base per le immancabili garanzie nella costruzione delle opere
  • dallo strozzaggio delle residue garanzie procedurali (ad esempio alleggerimento dei requisiti di ammissibilità e di qualificazione di soggetti economici nelle procedure di affidamento dei lavori)
  • da misure economico-fiscali di favore alle imprese costruttrici
  • dal tentativo di privatizzare il servizio ferroviario universale per liberare finanziamenti pubblici per le linee TAV

Non bisogna pensare però che stiano scomparendo gli affidamenti di linee Tav a contraente generale: quelli già decisi non sono in discussione e nuovi affidamenti continuano a essere possibili, e i contraenti generali possono avvalersi dei nuovi strumenti di intervento. Solo per fare un esempio il consorzio COCIV, contraente generale per il terzo valico dei Giovi della tratta AV/AC Milano-Verona, ha avviato nel luglio 2012 operazioni di esproprio nel comune di Arquata Scrivia. Stranamente nel consorzio COCIV emergono come soci i soliti noti, tra cui Impregilo con il 54% e Società Italiana Condotte Acqua con il 21%, complici della CMC in numerose nefandezze (soci ad esempio nell’IGI).

CONTRATTO DI DISPONIBILITA’

E’ un sistema utilizzabile da una pubblica amministrazione che non ha risorse finanziarie per realizzare opere la cui scarsa redditività economica non consente il recupero dell’investimento attraverso la gestione. Rientra nella maxi-categoria dei contratti di leasing con cui il proprietario di un bene lo concede in uso a un altro soggetto che paga un canone e può acquistarne la proprietà al termine del periodo contrattuale dietro pagamento di un ulteriore prezzo prestabilito. Nel caso di leasing pubblico una società di leasing finanzia e acquisisce da un’impresa produttrice un’opera e la cede poi in uso ad una Pubblica amministrazione a fronte del pagamento del canone. L’opera resta quindi di proprietà della società di leasing, quindi resta privata, fino all’eventuale riscatto.

Con il contratto di disponibilità sono affidate ad un soggetto privato, a suo rischio e a sua spesa, la costruzione e la messa a disposizione dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo. Sembrerebbe quindi che il rischio della costruzione e della gestione tecnica dell’opera venga assunto dal costruttore, mentre in realtà nell’agosto 2012 sono state introdotte modifiche che prevedono “modalità di ripartizione dei rischi tra le parti”: la vaghezza della norma è suscettibile di spostare quote indeterminate potenzialmente crescenti di oneri e rischi sull’amministrazione aggiudicatrice. Questa idea è rafforzata dall’introduzione della previsione secondo cui “i rischi sulla costruzione e gestione tecnica dell’opera derivanti da mancato o ritardato rilascio di autorizzazioni, pareri, nulla osta e ogni altro atto di natura amministrativa sono a carico del soggetto aggiudicatore”.

Inoltre se si esamina in che cosa consiste il corrispettivo emerge che in realtà nessuna opera sarà realizzata con questo schema senza spese incontrollabili e senza rischi per l’amministrazione affidante. La retribuzione infatti consiste in un canone pluriennale individuato nel bando di gara e se il bando prevede anche il trasferimento finale dell’opera alla Pubblica Amministrazione, al costruttore spetta anche un contributo comunque non superiore al 50% del costo di costruzione e il prezzo finale deve tenere conto dei canoni e del contributo già versati. I canoni pluriennali pagati dalle Pubbliche Amministrazioni impegnano gravemente risorse di bilancio future (soprattutto se si creano oneri finanziari per interessi se per i pagamenti servono prestiti) e in questo senso si produce debito pubblico in qualche modo occulto.

I PROJECT BOND

I project bond sono emissioni obbligazionarie ad alto rischio (equiparate ai Titoli di Stato) collocabili sul mercato, finalizzate al finanaziamento di una singola infrastruttura. E` una misura di credito che si va ad affiancare a quelle tradizionali come il credito bancario e i fondi assicurativi.
Il loro via libera definitivo è venuto dal decreto ministeriale emanato l’8 agosto 2012 dal Ministro dell’Economia Vittorio Grilli, di concerto con il viceministro dello sviluppo economico, Mario Ciaccia, inventore di questi bond. Secondo quest`ultimo, i project bondpotrebbero arrivare a muovere “almeno un quarto dei 100 miliardi di euro che saranno destinati alla costruzione di infrastrutture nei prossimi tre anni”.

I project bond possono essere emessi dalle società di progetto in forma di Spa o Srl (che possono essere costituite dal soggetto aggiudicatario di una concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura di pubblica utilità) e da soggetti titolari di una contratto di partenariato pubblico privato. Sono titoli non trasferibili destinati alla sottoscrizione dei soli “investitori qualificati” ma paradossalmente ad avere lo status di investitore qualificato, oltre a tutti i soggetti privati che operano sul mercato bancario/finanziario, sono praticamente tutti i soggetti pubblici conosciuti e cioe` la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), SACE. (compagnia assicurativa completamente partecipata dal Tesoro italiano) e la Banca Europea degli Investimenti (BEI), che in questo modo finanzieranno e copriranno i costi a garanzia della realizzazione delle infrastrutture.
A questi titoli, tra l`altro, è associata una sospetta agevolazione fiscale: per un periodo di 3 anni dall’emissione hanno lo stesso regime fiscale previsto per i titoli del debito pubblico (tassazione sugli interessi al 12,50% anziché quella ordinaria del 20%) e le imposte di registro, ipotecarie e catastali sono dovute solo in misura forfettaria.

I project bond sono dichiarati ad elevato rischio ma nonostante questo sono destinati a enti locali e a gestori di risparmio collettivo (come i fondi investimento e i fondi pensione che detengono il risparmio privato) con modalità che non escludono la sottoscrizione forzosa. Tra l`altro, nel testo del decreto che ha istituito i project bond, si legge che “la garanzia copre il rischio di inadempimento del debitore principale per capitale e interessi”. La consapevolezza che il mercato non assorbirebbe facilmente titoli del genere ha dunque portato il Governo Monti a prevedere una garanzia facente capo a tutto il sistema finanziario nazionale. Un buon modo per fare aumentare ancora di piu` il debito pubblico e gli interessi privati ad esso legati.

LE OBBLIGAZIONI DI SCOPO DEGLI ENTI LOCALI

Province, comuni, unione di comuni, città metropolitane, comunità montane e consorzi tra enti territoriali possono emettere obbligazioni di scopo destinate esclusivamente al finanziamento di singole opere pubbliche. Queste devono:

  • essere autorizzate dalla Banca d’Italia
  • avere valore di mercato pari all’investimento
  • essere quotabili sul mercato finanziario
  • dal 2012 devono essere garantite da un apposito patrimonio di garanzia che consiste in beni immobili di proprietà degli enti locali.

Si inseriscono quindi nella strategia di dismissione dei patrimoni collettivi in quanto questa novità non limita l’emissione obbligazionaria ad opere pubbliche di dimensione effettivamente locale e la garanzia prestata con il patrimonio immobiliare finalizzato non è collegata ad alcuna speciale responsabilità degli amministratori che decidono l’emissione.

ACCELERAZIONI PROCEDURALI, LEGGE 106/2011 CONCERNENTE “SEMESTRE EUROPEO – PRIME DISPOSIZIONI URGENTI PER L’ECONOMIA”

Si tratta di una diminuzione del quadro di garanzie e di controlli sull’esecuzione delle opere pubbliche.

1) Sono introdotti alleggerimenti dei requisiti di ammissibilità e qualificazione di soggetti economici alle procedure di affidamento delle concessioni e di appalti di lavori. Ora sono esclusi solamente quei concorrenti che hanno “commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse” e la presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione è influente solo se commessa con dolo o colpa grave.

2) E’ consentita l’autocertificazione per i requisiti generali di partecipazione alle gare e (in alcuni casi) per i requisiti di partecipazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi.

3)E’ estesa a tutti i lavori anche superiori a un milione (era il limite precedente) la possibilità di aggiudicare i contratti a trattativa privata quando tutte le offerte di gara si rivelano irregolari o inammissibili oppure quando – all’interno di una c.d. procedura aperta o ristretta (vedi sopra) – non sia stata presentata nessuna offerta o nessuna offerta appropriata o nessuna candidatura.

4)E’ diminuito dal 5% al 2% dell’intero costo di una infrastruttura strategica il limite di spesa per opere e misure compensative dell’impatto territoriale e sociale, per di più facendo rientrare in questo limite anche gli oneri di mitigazione di impatto ambientale.

5)Sono ridotti più o meno drasticamente i termini dei diversi passaggi per l’approvazione del progetto preliminare di una infrastruttura strategica.

6)Sono ridotti da 90 a 60 i giorni entro cui “sul progetto di monitoraggio ambientale…le regioni possono esprimersi sentiti i comuni e le province interessati”.

LE VALORIZZAZIONI IMMOBILIARI

Le pubbliche amministrazioni, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere l’attribuzione in proprietà o in uso di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati per la valorizzazione necessaria all’equilibrio economico finanziario della concessione . Le valorizzazioni immobiliari sono previste in tutte le forme di concessione di lavori pubblici (costruzione e gestione con o senza finanza di progetto, contraente generale, contratto di disponibilità). Valorizzazione può significare:

  • rivendita con profitto
  • mutamento di destinazione delle aree
  • nuovi insediamenti
  • prelievo anticipato del valore futuro delle aree e delle attività investite dall’opera (contributi, imposte, oneri urbanistici a carico della Pubblica Amministrazione, degli utenti, di proprietari di immobili e dei titolari delle attività imprenditoriali interessate.

IN SINTESI

Le forme di finanziamento alle società che costruiscono le grandi opere sono molto differenziate fra loro e in molti casi dipendono anche dalla tipologia dell’affidamento che le società ricevono.

Normalmente fino a circa il 2010 la forma di affidamento per la costruzione delle grandi infrastrutture è stata la concessione di costruzione senza obbligo di gestione dell’opera realizzata (è la nota formula dell’affidamento a contraente generale). Tutte le realizzazioni TAV in corso di costruzione o in fase di avvio (per es. le espropriazioni del progetto terzo valico GE-MI) si basano ancora sull’affidamento a contraente generale. Questa forma di affidamento ha sganciato il costruttore dall’obbligo/interesse a gestire l’opera finita per il recupero del capitale investito e per la relativa remunerazione, e in questo senso si differenzia dalla situazione tipica della finanza di progetto tradizionale (quella antecedente alle riforme del 2011-2012) in cui il costruttore ha sempre l’obbligo/interesse a gestire l’opera finita: il risultato è stato che sui cantieri si sono prodotti e si producono enormi sprechi e abusi perchè il costruttore contraente generale è compensato forfettariamente per una % elevata del valore dell’opera e non ha alcun interesse né alla sua razionalità, né alla sua economicità, ed opera poi in concreto come mediatore di lavori attraverso il sistema degli appalti e dei subappalti.

 

All’interno dello schema di realizzazione a contraente generale, è necessario distinguere le spreco di risorse per i lavori (insomma, i costi lievitati enormemente rispetto alle previsioni iniziali) dal meccanismo di accumulazione di debito pubblico relativo alle opere.

Proviamo a spiegarlo utilizzando l’esempio eclatante di Tav Spa.

Non sono le società private come TAV SpA che accumulano debito proprio ma sono le società private come TAV SpA che producono debito pubblico in maniera occulta. Questo secondo aspetto si può schematizzare come segue:

a) le ferrovie dello Stato nel 1991 e poi ancora nel 2000 hanno affidato a TAV Spa l’incarico generale di costruire un certo numero di linee TAV;

b) TAV Spa aveva una composizione mista pubblica (45%, di proprietà delle Ferrovie dello Stato) e privata (55%, soprattutto banche e grandi costruttori) cui corrispondeva rispettivamente un impegno al versamento del capitale sociale operativo per il 40% (quota pubblica) e il 60% (quota privata); la quota pubblica è stata versata, quella privata mai. Per coprire le spese di costruzione per il 60% mancante, TAV Spa ha acquisito prestiti dal mercato finanziario a tassi molto onerosi: per legge lo Stato garantiva e garantisce il pagamento degli interessi sui prestiti e la restituzione del capitale acquisito in prestito da TAV Spa.

c)TAV Spa ha ricevuto dalle ferrovie dello Stato, insieme all’incarico di costruire le linee TAV, il diritto a sfruttarle economicamente (attraverso meccanismi vari) per assicurarsi con i flussi di cassa provenienti dall’esercizio le risorse per restituire allo Stato gli interessi da questo anticipati e per restituire alle banche i capitali presi in prestito. Solo che, guarda caso, l’esercizio delle linee TAV non ha consentito questo accantonamento di risorse, così lo Stato ha continuato ad accollarsi gli oneri per interessi e si trova di fronte all’obbligo di restituire i capitali (da esso garantiti) alle rispettive scadenze. Una truffa perfettamente preordinata. Nel 2006 TAV Spa è stata riassorbita dal sistema delle Ferrovie dello Stato SpA (per l’esattezza da RFI), la sua continuità è stata assicurata con meccanismi similari da Infrastrutture SpA (al 100% di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti), ma questi sono aspetti secondari.

Nello schema disegnato in sostanza si è operato solo con risorse effettivamente pubbliche: quelle stanziate in modo trasparente dal sistema delle Ferrovie dello Stato (il 40% dei costi) e quelle sborsate dallo Stato (interessi sui prestiti e restituzioni dei capitali a scadenza) a copertura di formazione di debito pubblico occulto (60%).

Tutti gli strumenti di ingegneria finanziaria messi a punto nel 2011 e 2012 sono in grado di creare nuove forme di debito pubblico ancora meno trasparente di quello accumulato con il sistema del contraente generale e ancora più dilazionato nel tempo mediante:

  • l’accollamento a fiscalità generale delle facilitazioni concesse alla finanza di progetto;
  • l’accollamento ai bilanci degli enti pubblici delle annualità di affitto per le opere costruite in mancanza di risorse attuali con il contratto di disponibilità;
  • il rischio per i soggetti pubblici che acquistano strumenti finanziari insicuri come project bond o obbligazioni di progetto degli enti locali;
  • l’esposizione del patrimonio immobiliare posto a garanzia delle obbligazioni di progetto degli enti locali.

 

 

 

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Resoconto del corteo di Ravenna del 13 ottobre

“Per la terra e la libertà

Resoconto del corteo di Ravenna del 13 ottobre contro CMC e I devastatori della Terra”.

CMC, ovvero Cooperativa Muratori Cementisti. Siamo abituati a sentirne parlare, appunto, come cooperativa. Ma dietro questa formula costitutiva c’è dell’altro: c’è una corporazione del cemento che opera a livello internazionale, con sedi sparse nel mondo, con fatturati record e soci dai nomi prestigiosi. Una multinazionale (questo il termine adatto) che si occupa di grandi opere, spacciate come progresso ma che in realtà portano soltanto guadagni per l’azienda (e ai suoi dirigenti lautamente stipendiati) e devastanti impatti sui territori, sia sociali sia ambientali. La CMC che ha incassato la penale per la disdetta del contratto di costruzione del ponte sullo stretto di Messina (in tutto 800 milioni di euro che verranno trovati dallo Stato opeerando nuovi tagli per la sanità), la CMC che costruisce le basi di guerra americane, la CMC che ha distrutto il Mugello prosciugando le falde acquifere ed inquinando i terreni, la CMC il cui nome è stampato sulle tute degli operai all’interno del cantiere di Chiomonte in Valsusa, che cementificherà Milano per l’Expò, la CMC della Salerno-Reggio Calabria, della E55… C’è chi ritiene che CMC stia tradendo lo spirito cooperativistico, l’etica usata più volte per rispolverare un passato ormai sepolto. In realtà “CMC partecipa in una logica di mercato, come tutte le altre…” e se lo dice lo stesso Massimo Matteucci, che di CMC ne è il presidente, allora non c’è che da prenderne atto. Non dubitiamo: CMC è uguale alle altre multinazionali, forse anche peggiore! Per questa ragione, sabato 13 ottobre si è svolto a Ravenna un corteo nazionale contro la CMC e le molteplici devastazioni che questa azienda sta portando avanti in Italia e nel mondo, solamente per fame di profitti. Il Coordinamento NO CMC ha partecipato a questa variegata manifestazione con i suoi contenuti ed attraverso interventi al microfono ed un gran numero di volantini, manifesti ed adesivi distribuiti, ed ha dato una mano, per quello che poteva, alla preparazione e all’organizzazione del corteo. Nonostante nei giorni precedenti, da parte di giornali e politici di ogni schieramento, si siano viste ripetere le consuete formule diffusive di disinformazione e paura, con toni apocalittici e paventando la calata dei barbari e dei violenti; nonostante il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, dopo aver invitato i ravennati a restersene a casa, con un ordinanza avesse imposto la chiusura anticipata delle scuole superiori per le 11 con il chiaro proposito di diffondere terrore ed evitare che gli studenti potessero congiungersi alla manifestazione; nonostante i circa 400 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri in antisommossa, polizia municipale e provinciale, guardia forestale, Digos e Ros, con tanto di elicottero di supporto aereo, dispiegati sull’intero territorio militarizzato (e qui la Valsusa ci è di esempio); nonostante tutto questo oltre 1.000 manifestanti (c’è chi parla di 1.200/1.300 persone), gente di tutte le età, tra cui anche famiglie con bambini, non si sono fatti intimorire e sono scesi per le strade di Ravenna partecipando al corteo contro CMC e le sue nefandezze. Da Torino e dalla Val di Susa contro il TAV, da Milano per protestare contro l’Expo 2015, da Vicenza contro la base Dal Molin, dalla Sardegna contro le basi militari, dalla Puglia, dal veneto e da tante altre parti d’Italia. Anche da Ravenna, dove tra gli altri c’era anche il comitato Vitalaccia Dura, contro l’espansione industriale verso Porto Fuori, l’ennesima devastazione di cui CMC si fa garante. Gruppi e singoli individui come convenuto senza bandiere di sindacati istituzionali o di partito (con l’eccezione di alcuni sparuti feticisti del “proprio simbolo” partitico, che comunque si sono qualificati in questo modo da soli). Portatori di contenuti ed esperienze anche differenti tra di loro ma con la volontà chiara di stare dalla parte della Terra, saccheggiata e devastata dalle grandi opere patrocinate da CMC e consimili. La manifestazione, con concentramento alla ore 14, si è mossa attorno alle 15 dalla stazione di Ravenna e si è conclusa circa alle 18:30 in piazza Garibaldi, dopo aver fatto un lungo percorso a piedi, preceduta dal furgone con la musica e con il microfono aperto per gli interventi e dallo striscione che riprendeva la grafica del manifesto e la scritta “CMC Devastatori della Terra”. Durante il tragitto, che ha anche attraversato alcune zone residenziali popolari (dalle cui finestre e balconi più di una persona ha salutato il corteo, mostrando la bandiera NO TAV), sono stati lanciati slogan e letti molti interventi per ricordare che c’e’ lavoro e lavoro. Giunti in via Trieste, di fronte alla sede legale di CMC, alcuni gruppi hanno portato delle carriole con della terra e posizionato simbolicamente delle piantine e dei semi, volendo rimarcare così, ancora una volta, da che parte stanno quelli che distruggono e quelli invece che difendono la Terra ed una vita libera. Al contrario di quanto pronosticato ed auspicato dal sindaco, da Legacoop, dai partiti (dal PD al PDL, da Rifognazione Comunista alla Lega Nord, da SeL fino ai repubblicani) ed anche dall’Anpi di Ravenna ( evidentemente “sollecitata” ad esprimersi e la cui sezione rassomiglia oramai ad una sezione del PD), molti romagnoli e ravennati sono scesi in strada decisi a capire cosa stesse succedendo, dapprima curiosi e poi sempre più solidali con i temi mossi dal corteo, dimostrando come ci siano anche persone non disposte a farsi dettare le decisioni da prendere, che la testa ce l’hanno e riescono ancora a pensare da sole e persino a farsi delle opinioni. Si era affermato il rischio di infiltrazione degli antagonisti, degli anarchici, dei centri sociali…come fossero il male assoluto. I tombini sono stati piombati, i cassonetti rimossi, le cabine Telecom ed Enel sigillate, alcuni negozi hanno chiuso su consiglio della Questura per paura degli “estremisti”. La questura ha scelto di adottare il protocollo di massima sicurezza utilizzato per la visita dei capi di stato, mostrando l’importanza che rivestono mostri come CMC. Ebbene dobbiamo ammetterlo, antagonisti, anarchici e centri sociali non solo erano presenti ma hanno anche dato un contributo essenziale alla riuscita del corteo e alla preparazione dello stesso, assieme a tutte le altri cmponenti. La manifestazione è stata pacifica non perchè non si sia lasciata infiltrare da fantomatici violenti (putroppo non tutti i digossini sono facili da individuare ed allontanare) ma perchè tutti assieme abbiamo deciso così, cosiccome tutti assieme avremmo potuto anche decidere azioni più determinate, proprio come accade in Valsusa. Una lotta coerente ha bisogno di vari momenti, quelli essenziali di confronto, quelli che prevedono la comunicazione all’esterno e quelli che prevedono la messa in pratica vera e propria delle varie idee. La base su cui lavorare è sempre il rispetto reciproco delle differenti modalità di intervento nella lotta e l’orizzontalità nell’autorganizzazione della stessa. Solo in questo modo si può incidere davvero rispetto a ciò che si vuole ottenere. Quello che si è ottenuto con questa manifestazione è un’immagine pubblica della CMC che è sempre più quella di un’impresa devastatrice protetta da politici e poteri forti. D’altronde proprio i termini usati dal sindaco di Ravenna prima e dopo la manifestazione (“Parlavano in nome del nulla”, “estremismo fuori dai coppi”, “assurdità”, “estremismi un po’ fuori di testa”), oltre ad esprimere la mediocrità intellettuale e critica del primo cittadino e la sua totale sudditanza verso la CMC, gli hanno procurato centinaia di commenti di ravennati disgustati dalla sua faziosità. La dimostrazione che il corteo è stato un successo e che il vero fallito è stato proprio il sindaco di Ravenna e chi con lui, in modo trasversale, ha sparato a zero sulla manifestazione. Un messaggio forte e chiaro alla CMC e ai suoi amici. Qualcuno comincia ad avere paura che un’altro mondo si possa costruire davvero e subito, senza di loro: senza le loro devastazioni, senza le loro infrastrutture di morte per portare a spasso i loro capitali rubati con il loro sistema di sfruttamento, senza le loro innumerevoli CMC. COORDINAMENTO NO CMC.

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