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IMOLA: PRESENTAZIONE OPUSCOLO NOCMC

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ACCAMPAMENTO INTERGALATTICO PER LA SALVEZZA DEL PIANETA DALLA GUERRA E DALLA DEVASTAZIONE ECOLOGICA

Il MUOS che gli USA vogliono installare a Niscemi, e le 46 antenne gia’ esistenti, proprio nel cuore della Sicilia, e’ un’arma di morte
che crea scempio e malattie nel territorio.
Il governo italiano si sta rendendo complice di questa mostruosita’.
E’ per questo che facciamo un appello per partecipare all’ACCAMPAMENTO INTERGALATTICO E PERMANENTE IN CONTRADA ULMO a 2 km
da Niscemi.
Un accampamento diffuso nel territorio con vari luoghi di permanenza;un accampamento con varie forme di insediamento
utilizzando e costruendo teepee,case in paglia, costruzione ecocompatibili.
Un accampamento INTERGALATTICO perche’ vogliamo salvare il pianeta dai piani di guerra che gli Usa e i governi amici (tra cui l’Italia)
hanno in mente e c’è bisogno dell’aiuto attivo di tutte da ogni dove,magari pure da Alieni amici.
Un Accampamento di persone che amano la terra la liberta’ e la condivisione.
Sono benvenute: contadine, permacultori, eco-architette, musiciste, artisti di strada, educatrici, terapeuti, ricercatori, scienziate, artigiani,scalatori etc attivisti.
L’accampamento avra’ vari luoghi dove insediarsi a seconda della capacita’ attitudine,volontà, competenza dei partecipanti
TRE TIPOLOGIE DI LUOGHI:
A)Accampamento al presidio e nella Sughereta attorno alla base
B) Accampamento in terreni di attiviste locali ,con cui collaborare
nella gestione delle attività quotidiane oltre che nelle attivita’
del movimento nomuos
C)Luoghi e terreni dove stare in maniera piu’ tranquilla,collaborare
con le attivita’ del posto e che siano laboratori di creazione e
scambio.
DATA DI INIZIO : 5- 6 -7 LUGLIO ACCAMPAMENTO PERMANENTE

N. B.
e’ intenzione delle varie realta’ siciliane e del movimento nomuos partecipare nella terza e quarta settimana di luglio
al campeggio notav…..per queste ragioni vogliamo dedicare queste due settimane al completamento della logistica ,praticamente due
settimane di cantiere per poi riaccogliere compagne e compagni di ritorno dalla valle e concentrarci sulle attivita’ militanti
N.N.B.B. E’ prevista una settimana di cantiere prima dell’inizio del campeggio ,che si unisce all’impegno che le varie realta’
siciliane hanno preso per autogestire ognuna un fine settimana di cantiere….la settimana va dal 17 GIUGNO al 23 GIUGNO per l’avvio
della casa in balle di paglia ,la costruzione della compost toilet e altre attivita’.

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Alta velocità, bassa trasparenza

La Direzione generale trasporti della Commissione europea non vuole rendere noto come sono stati utilizzati i finanziamenti europei destinati alla realizzazione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità Lione-Torino. In questo modo violerebbe il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Numerose sollecitazioni scritte sono state inviate negli ultimi sei mesi dall’associazione Re:Common alla Direzione generale trasporti della Commissione europea per sapere nel dettaglio quali studi e quali lavori sono stati pagati con i soldi dell’Ue e quindi dei contribuenti europei.

La Commissione europea ha negato la disponibilità a divulgare le informazioni in suo possesso, affermando che “i documenti fanno capo a soggetti terzi… che non intendono renderli pubblici e non crediamo che ci sia un interesse diffuso in proposito”.

Successivamente, incalzata dai ricorrenti anche sulla base del mancato rispetto dei principi contenuti nella Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, alla fine del 2012 la Direzione generale trasporti della Commissione ha comunicato il valore dell’importo erogato fino ad oggi all’Italia (53.106.000 euro) senza entrare nel dettaglio.

Circa l’utilizzo del denaro la Direzione generale trasporti della Commissione ha specificato che “è una questione bilaterale tra i due Stati membri, la quale non prevede il coinvolgimento della Commissione”, di fatto lavandosene le mani e negando un ruolo di supervisione.

Adottando questa condotta la Direzione generale trasporti della Commissione avrebbe violato l’articolo 15 del Trattato che regolamenta il funzionamento dell’Ue, dal momento che la Commissione deve rispondere del suo operato ai cittadini, che devono sapere come vengono impiegati i loro soldi.

Nello specifico, le condizioni generali della Decisione di finanziamento prevedono che le richieste in merito ai pagamenti devono essere sostanziate da rapporti tecnici e rapporti finanziari, oltre che da informazioni su contratti, sub-contratti ed eventuali studi che riguardino il progetto. Non è quindi possibile che la Commissione europea non sia a conoscenza di come siano stati utilizzati i soldi dagli Stati Membri Italia e Francia.

Il rifiuto a rendere pubblica quest’informazione viola anche i principi della Convenzione di Aarhus in materia di accesso alle informazioni ambientali che privando i cittadini della conoscenza circa la destinazione dei fondi europei.

“Ricordiamo che la Torino-Lione è, così come la definisce il Movimento No TAV, una grande opera inutile e imposta, a cui si oppone la maggioranza dei Comuni della Valle di Susa per cui riteniamo che sia evidente l’esistenza di un interesse pubblico per avere accesso a tutte le informazioni relative alla realizzazione del progetto” ha dichiarato Paolo Prieri del Presidio Europa del Movimento No TAV.

“Invece di scoraggiare la partecipazione dei cittadini, la Commissione europea dovrebbe adottare una posizione neutrale e rispettare i pilastri dell’ordinamento europeo e il dettato della Convenzione di Aarhus, con questo atteggiamento dà manforte all’opacità dell’operazione Torino Lione” ha aggiunto Caterina Amicucci di Re:Common.

Per far valere le loro ragioni, Re:Common ed il Presidio Europa No TAV hanno fatto ricorso all’Ombudsman europeo che ha il compito di esaminare le denunce relative ai casi di cattiva amministrazione che coinvolgono istituzioni e organismi dell’Unione europea e si augurano che il caso sia esaminato in tempi rapidi e approfonditamente.

Fonte: http://www.altreconomia.it

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Eurolink fa causa alla Stretto spa Tramonta il progetto del Ponte

Eurolink, il general contractor del Ponte sullo Stretto di Messina, avvierà il contenzioso per inadempienza contrattuale contro la Stretto di Messina spa, società committente del progetto del Ponte di Messina. Si evince dalla lettera che Eurolink ha inviato all’amministratore delegato della Stretto spa, Pietro Ciucci in cui si evidenzia come il mancato rispetto delle penali da riconoscere al consorzio di imprese che si era aggiudicato il contratto sia da considerarsi “un’indebita espropriazione” e i danni, soprattutto per le aziende quotate in Borsa, “non potranno che essere addebitati al governo italiano”.
La mancata sottoscrizione dell’atto aggiuntivo di cui nei giorni scorsi aveva parlato il ministro per le Infrastrutture Corrado Passera prevedeva la sospensione del progetto per due anni e nel frattempo l’avvio di alcune opere a terra non necessariamente collegate con il progetto del Ponte. Previsioni del governo che Eurolink ha subito respinto e le cui contestazioni oggi ha ufficializzato con la lettera inviata a Stretto di Messina spa.

“La mancata sottoscrizione dell’atto aggiuntivo al contratto per il Ponte da parte di Eurolink è stato condizionato dalla contestata esigenza di dare attuazione a disposizioni legislative con cui il Governo ha inteso ‘sbarazzarsi’ – si legge nella lettera – di un contratto legittimamente assegnato a seguito di una gara europea e modificare unilateralmente il contenuto e l’efficacia di tale contratto, pretendendo di conculcare diritti e indennizzi contrattualmente consacrati in capo al contraente generale, peraltro con ogni evidente perdita di credibilità del sistema Paese”.
Secondo il consorzio guidato da Impregilo, cui partecipano la Sacyr (Spagna), la Società italiana per condotte d’acqua, la Cooperativa muratori & Cementisti-C.M.C. di Ravenna, la Ishikawajima-Harima Heavy Industries (Giappone) e Aci (Consorzio Stabile), “spiace dover ancora una volta ricordare che altro non chiede che il puntuale rispetto del contratto stipulato e contesta con fermezza la volontà di espropriare l’affidatario dei propri diritti contrattuali e finanche del rimborso delle spese sostenute, con assoluta noncuranza dei 9 anni di vincolo contrattuale, del mantenimento di ingentissime fidejussioni e linee di credito dedicate, dell’inutile impegno delle migliori forze del team internazionale affidatario, dell’altrettanto inutile mobilitazione delle migliori professionalità internazionali per la realizzazione di una delle più difficili opere di ingegneria al mondo ed infine dei danni che tale azione provoca alle imprese affidatarie ed in particolare a quelle quotate in Borsa, che non potranno non essere addebitati al governo italiano”.
Eurolink ricorda alla società Stretto di Messina che “non può certamente sottostare a tale indebita espropriazione delle proprie legittime posizioni derivanti dalla sottoscrizione di un contratto assegnato a seguito di regolare aggiudicazione di una gara internazionale, ma resta pur sempre disponibile a riconsiderare il recesso dichiarato qualora il governo intenda effettivamente realizzare l’opera in un quadro di ripristinata situazione di regolarità contrattuale e, soprattutto, in un quadro normativo di assoluto rispetto delle pratiche internazionalmente riconosciute e della legalità, come individuata dai trattati e dalle convenzioni a tutela degli investimenti e del legittimo affidamento dei contraenti nazionali ed internazionali”.
Il contraente generale Eurolink non ha sottoscritto, entro il termine del 1 marzo, l’atto aggiuntivo con il quale lo Stato italiano di fatto chiedeva di accettare la cancellazione delle penali. Secondo le fonti finanziarie che sono venute in possesso della lettera, la sola capofila Impregilo avrebbe dovuto incassare come penali stabilite attraverso il contratto originario circa 300 milioni di euro. Secondo l’ultima rivalutazione, comprese le opere di rifacimento della stazione di Messina, il progetto del Ponte sullo Stretto ammontava a più di 8 miliardi di euro.

Fonte: http://messina.blogsicilia.it/

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Il Muos e le infrastrutture militari. Ecco gli “affari” di Lombardo

L’isola-trampolino per proiettare le forze aeree, navali e terrestri nazionali e quelle di Stati Uniti e Nato negli scacchieri di guerra in Medio oriente, Africa ed est Europa. Soffocata da una miriade d’infrastrutture, aeroporti e porti militari, poligoni, sistemi satellitari e di trasmissione degli ordini d’attacco. I maggiori corridoi marittimi solcati da unità navali e sottomarini a propulsione e capacità nucleare. Una selva di antenne radar per fare la guerra ai migranti. E per chi è scampato ai naufragi mediterranei, la detenzione nei cie-cara-lager disseminati ormai ovunque.
La Sicilia è sempre più armata, militarizzata, nuclearizzata. Aggressiva, bellicista e a sovranità dimezzata. Territorio di frontiera e di conquista, laboratorio di spregiudicate alleanze politiche e strategiche. A partire del patto diabolico sottoscritto alla vigilia dello sbarco alleato del ’43 dalle organizzazioni criminali-mafiose e dalle forze armate a stelle e strisce. Poi, nel dopoguerra, la controffensiva reazionaria contro i movimenti politici, sociali e sindacali della sinistra, la strage di Portella delle ginestre, le bombe contro le sezioni del Pci e le Camere del lavoro, gli omicidi selettivi di sindacalisti. Il piombo mafioso e le coperture dei servizi e degli apparati repressivi dello Stato, la supervisione, le armi e i soldi di Washington, la protezione delle centrali spionistiche e dei corpi diplomatico-militari Nato infiltratisi nel tessuto siciliano. Un duplice scambio di favori e complicità: prebende, affari di droga e armi, gli appalti alla borghesia mafiosa locale; piena libertà di azione, occupazione e intervento intra ed extra-regionale alle forze armate statunitensi dislocate nelle sempre più numerose basi isolane.
Il processo di riarmo e militarizzazione della Sicilia si è sviluppato progressivamente a partire dalla Guerra fredda, all’insegna dello scontro Est-Ovest. Poi, dopo la crisi energetica di metà anni settanta e il trasferimento del baricentro conflittuale verso il Sud del mondo, il ruolo strategico dell’isola è esploso dirompente. L’installazione dei missili nucleari a Comiso, le forze di rapido intervento Usa inviate dalla base di Sigonella nel Golfo Persico, in Libano e in Corno d’Africa, la prima guerra del Golfo, le tragedie balcaniche e i bombardamenti in Serbia e in Kosovo, l’11 settembre e le sanguinose campagne in Afghanistan, Iraq e Pakistan, l’uragano di bombe, missili e droni contro la Libia nel 2011, hanno irrimediabilmente trasformato il volto della regione. Con drammatiche ripercussioni socio-economiche, paesaggistiche ed ambientali. Le classi politiche dominanti, tuttavia, in perfetta continuità con il passato anche quando a parole la continuità veniva dichiarata “interrotta” (vedi la squallida esperienza del governo regionale di centro-sinistra a fine anni ’90 che ha spianato la strada al modello cuffaristico-lombardiano), hanno sostenuto i piani e le strategie di morte dei partner d’oltreoceano. Anche quando calpestavano selvaggiamente diritti e interessi dei cittadini. E non poteva essere altrimenti: il potenziamento infrastrutturale Usa e Nato ha rafforzato le cosche e il dominio mafioso sul territorio. Gli appalti in mano ai cavalieri del lavoro di Catania (Costanzo, Graci, Rendo e Finocchiaro) per l’ampliamento della rete aeroportuale civil-militare dell’isola a metà anni settanta, l’infiltrazione criminale nella realizzazione della base nucleare di Comiso nei primi anni ottanta, le inchieste della procura di Catania che hanno accertato lo strapotere della “famiglia” di Benedetto Santapaola nella gestione di servizi e forniture nella stazione aeronavale di Sigonella, gli intrecci e le contiguità con la mafia nissena di certe imprese chiamate alla costruzione del grande centro di telecomunicazione Us Navy di Niscemi, segnano le tappe-chiave più recenti del binomio mafia-militarizzazione.
Le leadership dei partiti al governo hanno apertamente alimentato questo processo dirottando ingenti risorse finanziarie pubbliche a favore delle nuove infrastrutture belliche. Contemporaneamente gli amministratori degli enti locali hanno autorizzato dissennate varianti ai PRG per insediare megacomplessi abitativi per i militari e i familiari Usa. Le speculazioni immobiliari sono state linfa vitale per i clan mafiosi consentendo di rinnovare i legami tra politica, mafia e imprenditoria. “Per quanto riguarda l’acquisto della tenuta di Sigonella devo precisare che ero stato stimolato, dopo un primo acquisto in quella zona, ad estendere la proprietà da Stefano Bontate, questi infatti attraverso Pippo Calò e personaggi di Roma a me sconosciuti aveva la possibilità di avere contatti con gli americani”, ha raccontato il collaboratore di giustizia Angelo Siino, noto alle cronache come il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra ed (ex) importante anello di congiunzione tra mafia, massoneria, partiti politici e costruttori. Un affare, quello della più grande stazione aeronavale Usa nel Mediterraneo che vedeva operare congiuntamente vecchia e nuova mafia siciliana. «Il Bontate mi mostrò una planimetria di ampliamento dell’aeroporto militare che doveva includere la mia proprietà che iscriveva l’intera base di Sigonella. Allorché fu presa la decisione di portare avanti l’affare e avere una maggiore presenza nel territorio di Catania prendevo contatti con Nitto Santapaola e con esponenti mafiosi catanesi».
Vent’anni dopo sono cambiati i protagonisti ma le dinamiche e gli interessi filo-atlantici sono rimasti identici e penetranti. Per realizzare a Belpasso (Ct) un nuovo villaggio per i militari di Sigonella, un’azienda romana (la SAFAB) si è affidata a un faccendiere siciliano personalmente e politicamente amico dei fratelli Lombardo, il governatore Raffaele e il deputato Angelo. L’intera operazione, ovviamente, è stata seguita e benedetta dal reggente di Cosa Nostra a Catania, Vincenzo Aiello. Quella del villaggio Usa di Belpasso è una delle vicende più emblematiche documentate dall’operazione Iblis, l’inchiesta giudiziaria antimafia che ha tracciato il capolinea della parabola lombardiana ai vertici della Regione siciliana.
Raffaele Lombardo, più dei democristiani della prima repubblica e del predecessore Totò Cuffaro, ha incarnato il ruolo di fedele interprete degli interessi politici e strategici d’oltre-atlantico, nonostante quanto scritto contro di lui dai diplomatici Usa in Italia. Da presidente della provincia di Catania ha autorizzato e finanziato la bretella stradale riservata ai residenti del villaggio Usa di Mineo. Da governatore, dopo aver urlato nelle piazze il proprio No all’Eco MUOStro di Niscemi, ha inspiegabilmente mutato opinione autorizzando la realizzazione del terminale terrestre del nuovo sistema satellitare all’interno della riserva naturale “Sughereta”. Per la prima volta della storia d’Italia, un comando Usa aveva chiesto il pass ad un’istituzione locale. E invece di un atto d’orgoglio, in difesa del sacrosanto diritto di tutti alla pace, al lavoro e alla salute, il governatore “autonomista” ha consentito lo sventramento di un territorio protetto. Un’opera impattante, devastante, criminale e criminogena. Anche i lavori del MUOS, infatti, sono stati cosa loro. In violazione della legge La Torre approvata dopo il sacrificio dell’allora segretario regionale del Pci in lotta contro i missili e la criminalità organizzata, essi sono stati subappaltati ad un’impresa privata del certificato antimafia perché ritenuta contigua alla “famiglia” dominante a Niscemi. Ad affidare l’opera un consorzio guidato da un’impresa veneta che nel 2008 aveva finanziato con 15.000 euro la campagna elettorale dell’MPA, il movimento-partito di Lombardo.
Il mal governo e l’ipermilitarizzazione del territorio hanno goduto della pressoché impunità giudiziaria e della desistenza o piena accondiscendenza (secondo i casi) delle forze politiche della sinistra “moderata”. Contro le finalità di distruzione e morte delle basi di Augusta, Sigonella, Niscemi, Pantelleria, Lampedusa, Trapani-Birgi, Noto-Mezzogregorio, Pachino, Marsala, Messina, mai si è levata una voce del Pds, poi Ds oggi Pd e delle organizzazioni-associazioni d’area. I singoli iscritti e i circoli del partito-democratico che hanno sposato le ragioni dei No war sono stati derisi, isolati, delegittimati. Mai una denuncia sui conflitti d’interesse del padre-padrone della stampa e dell’informazione radiotelevisiva siciliana, Mario Ciancio Sanfilippo, direttore-editore de La Sicilia, imprenditore-costruttore di villaggi e residence Usa, azionista della società di gestione dello scalo di Catania-Fontanarossa, ostaggio degli spericolati decolli degli aerei senza pilota di Sigonella, e del non-aeroporto di Comiso, vittima eccellente dei bombardamenti elettromagnetici del MUOS di Niscemi. Ciancio Sanfilippo è il cultore del consumo di territorio e delle mega opere. E le basi militari Usa e Nato sono grandi infrastrutture create in regime di extraterritorialità, fuori dalle leggi del libero mercato. La “sinistra” governista lo sa bene. Per trasformare Sigonella in una delle principali stazioni Usa d’oltremare, il Pentagono ha speso negli ultimi 15 anni poco meno di un miliardo di dollari. Una cifra enorme, appannaggio in buona parte della società leader di Lega Coop, la CMC di Ravenna, quella del Dal Molin di Vicenza, dei tunnel della val di Susa e del Ponte sullo Stretto di Messina. I business di guerra hanno generato ecomostri cancellando l’identità e la soggettività di chi era nato per rimettere in discussione come, quando, perché e in favore di chi produrre. La Sicilia-portaerei è anche l’isola dei trasformismi e delle irreversibili mutazioni genetico-politiche.

Antonio Mazzeo

Fonte: controlacrisi.org

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NO TAV ….produciamo conflitto, condivisione, piacere e complicita’

Mettere i bastoni tra le ruote, qualche spunto per INCENDIARE LA PRATERIA

In Valle di Susa da oltre 20anni si è sviluppato un movimento di lotta contro il progetto del Tav Torino-Lione, non è nel proposito di queste brevi riflessioni ribadire nel dettaglio i motivi di questa opposizione, che possiamo riassumere:

  • Nei danni ambientali all’eco sistema (distruzione di alberi secolari , prosciugamento delle falde acquifere ,ecc) e alla salute che l’amianto e l’uranio presenti nella montagna hanno per le persone.
  • Nello scorrere per oltre 20anni dei camion su e giù per la valle, con l’inquinamento dei motori e dello smarino portato qui e là.
  • Nell’abbattimento di case, l’esproprio di terreni, cortili e cantine.
  • Nell’inutilità dell’opera e lo spreco di denaro pubblico.
  • Nelle presenza di ditte mafiose che accompagnano le grandi opere sul territorio.

Il Tav rappresenta un modello sociale basato sulle merci, sui capitali e sulla velocità degli stessi, modello che oggi, abbandonata ogni promessa di uno sviluppo capitalistico dal “volto umano”, presenta il conto in tutto il pianeta, con crisi e guerre, con la costante distruzione delle conquiste prodotte dalle lotte dei due precedenti secoli, dalle politiche sociali, alla sanità, alla scuola, con la devastazione dei territori.

Politiche di cittadinanza, d’integrazione, prevenzione e/o di riduzione del danno, restano discussioni da accademia, mentre nella realtà si chiudono gli ospedali.

Chi si illudeva sulla possibilità di uno sviluppo capitalistico che coniugasse lavoro ed espansione dei diritti civili e sociali, oggi, giorno dopo giorno, vede gli stessi affossati per le decisioni di una ristretta oligarchia finanziaria; a girarsi indietro si vede come oggi, dal diritto del lavoro alla psichiatria, stiamo tornando indietro di decenni, nel mentre il centralismo delle democrazie autoritarie rende i nostri territori sempre più colonizzati. (nota 1)

La lotta contro il Tav , in questo contesto globale ha posto, al di là del come si declina e si è declinata, un’opposizione al modello di sviluppo sociale dominante, in quanto si è posta contro quell’idea di mondo che trasforma i territori e le vallate alpine in luoghi di passaggio per l’interconnessione delle metropoli oltre che un elemento essenziale di finanziamento della politica e della speculazione finanziaria.

Difficile definire il movimento no tav, se non nella descrizione seppur limitante del farsi comunità ribelle.

La valle esiste e si riconosce come comunità nella lotta e quindi chi è parte della lotta è membro della comunità, non chi professa vecchie e/o nuove ideologie. Non di chi fa della critica- critica la sua ragione di esistere, non chi propone programmi prefabbricati al super market dei racket politici o delle buone intenzioni.

L’essere scesi in strada, l’aver spento le televisioni, aperto le case, gustato il cibo in comune, acceso e saltato i fuochi, cantato e ballato, costruito le barricate, essersi seduti per terra a mani alzate, tirato i sassi, condiviso la gioia, la forza, il coraggio e la paura, gustato la libertà, corso nei boschi il 3 luglio tra i gas e i candelotti tirati ad altezza d’uomo, l’aver indossato le maschere, aver contrattaccato per ore, aver visto che si può vincere come a Venaus nel 2005, non avere accettato la divisione fra buoni e cattivi, tra ‘quelli di valle’ e ‘quelli di fuori’, non essersi fatti intimidire dalle denunce e dagli arresti, è parte solida e fondante della comunità, dell’aver imparato che oggi costruzione della comunità significa: comunità in lotta.

In questa genuina radicalità, in questo essere lotta di popolo, il movimento no tav, ritrova gli elementi dell’esperienza delle comunità alpine originarie, e di iniziativa dal basso e autogestione (nota 2), sperimentando percorsi di secessione dall’esistente.

Questa positiva alchimia che si produce nel movimento no tav e che produce il movimento no tav, ha ragioni oggettive e soggettive, legate alle radici e alla storia di questa valle dalle lotte dei celti, degli eretici, delle streghe, dei briganti, dei partigiani, sino alle lotte degli anni ’70.

Nel sapersi mischiare di diversi percorsi, nel sapersi mettere in discussione, nella capacità di includere, in un fare comune, nel non volere questo treno, e nel non volerlo sul serio. Tutto cio’ viene assunto in modo leale e concreto da tutte le componenti e individualità del movimento, moderate e radicali, e fa sì che le individualità e/o gruppi del vari racket politici, si allontanino sempre, sentendosi un corpo estraneo.

Senza negare screzi e contraddizioni, che ci sono stati e che vi saranno, le relazione di Valle, le relazioni con i solidali, con chi arriva dai vari luoghi, dal resto d’italia e/o d’europa, è di coinvolgimento completo; ci si confronta, si cresce insieme la sola verifica è l’onesta nella lotta.

Nello slogan ‘siamo tutti black block’, nel non essere caduti nella trappola di dividersi tra buoni e cattivi. nel partire per un iniziativa di lotta senza sapere il luogo (nota 3), non vi sono deleghe o accordi politici, ma anche con immani dibattiti e litigi, una conoscenza e una fiducia costruita e maturata in anni di lotta, praticando l’inclusione nella complicità e nella solidarietà che è essere sorelle fratelli nel conflitto. Questo ha permesso di avere un’autonomia dal governo e partiti, di non accettare la logica dei tavoli, dei compromessi, delle compensazioni, ecc.

Di fronte agli arresti, ad esempio il popolo no tav consolida relazioni di solidarietà: in seguito agli arresti e alle denunce nascono le associazioni di sostegno ai prigionieri, ci si occupa comunemente di coltivare la terra di chi è prigioniero o di gestirne la bottega di barbiere come nel caso di Bussoleno, si moltiplicano le raccolte fondi per avvocati e spese varie collegate agli arresti, lo slogan “ si parte e si torna assieme” sintetizza bene il non essere solo di ogni partecipante, torna con forza la memoria e si recuperano vari elementi dell’esperienza della lotta partigiana.

Nelle Libere Repubbliche di Venaus e della Maddalena, nelle notti intorno ai falò, nelle barricate, si è via via consolidata un’esperienza tra giovani e anziani, tra differenti culture e pratiche, che ha prodotto un insieme che include, che non schiaccia, che non è facile trovare in altri movimenti conflittuali anche quando si esprimono in forme radicali.

L’essere valsusini è diventato non dove si è nati o si risiede, ma l’avere condiviso il freddo delle notti intorno ai fuochi, dietro le barricate, le feste a Venaus, i giorni della Libera Repubblica, la baita.

Un noi collettivo che da un No Tav corale ha fatto nascere un desiderio di idealità ribelle che, al di là di come si declina, parla di un altro mondo e della lotta per ottenerlo.

La democrazia autoritaria dello stato capitalista ci concede di essere a fianco della strada da lor signori intrapresa, con il cartello in mano in cui diciamo che abbiamo ragione, ma guai se ci mettiamo di fronte, per impedirgli di marciare sulla nostra terra, per impedirgli di distruggerla, se vogliamo fermarli siamo antidemocratici e un pericolo nazionale!

Il movimento no tav ha invece osato alzare la testa davanti ai camion, alle ruspe, alle reti e ai politicanti di turno, ha accettato di essere considerato un pericolo nazionale, proprio per questo ha conquistato i cuori di moltissima gente e incontrato la complicità delle tante e dei tanti refrattari all’esistente, non essendosi limitato alla semplice denuncia o testimonianza, ma avendo saputo porsi di traverso, ostacolando ‘fisicamente’ il progetto tav.

La lotta no tav non ha possibilità di mediazione, la linea ad alta velocità o si fa o non si fa, ma questa verità ci pare sia oggi la regola per tutti coloro che lottano per la casa, per il lavoro, per chiudere i CIE, ecc , poiché è la scelta obbligata per aprire nuovi scenari al di fuori e contro gli attuali rapporti di produzione.

Oggi questa l’esperienza no tav si cimenta con la nuova fase del fortino-cantiere, lariflessione del movimento e la pratica che conseguentemente viene assunta è la consapevolezza che in questa fase dell’occupazione militare (nota 4) il terreno per sbloccare questa situazione” passa per l’individuazione di percorsi che permettano di dare degli sbocchi pratici che mettano in discussione concretamente, sul campo, la presenza delle truppe d’occupazione e l’installazione dei cantieri del TAV.

Si intensificano le iniziative tese a denunciare e ostacolare la presenza delle truppe: blocchi autostradali nell’ora dei cambi, picchetti presso le ditte che forniscono la logistica, caserolados sotto gli alberghi in cui dormono gli occupanti, passeggiate e manifestazioni nelle zone vietate con taglio reti e ribaltamento dei jersey, ecc .

Nell’estate appena trascorsa, con l’esperienza del campeggio di lotta di Chiomonte che ha visto il confronto con solidali e ribelli di ogni dove (anche extra-europei), il movimento ha analizzato l’importanza del sostegno alla lotta no tav nei vari territori e la partecipazione dei tanti e tante in valle, e ha proposto che nella valorizzazione di queste solidarietà si cerchino le ragioni locali di azione, per ” incendiare la prateria”, per portare la valle nelle città, per unire lotte.

Nella sua esperienza concreta, il movimento no tav ha dimostrato che non è necessarioattendere da qualcuno o qualcosa, interno od esterno ai movimenti, le ricette per lottare.Nella prateria in fiamme ognuno di noi, a partire dal proprio luogo e spazio della propria secessione dall’esistente, apprende la scienza e le pratiche della propria liberazione.

Il segreto della lotta No Tav, la sua possibile riproducibilità, sta nella sua capacità di saper costruire nella lotta: dai forni collettivi, ai campi coltivati, alle relazioni comunitarie. Di saper produrre conflitto, condivisione, piacere e complicità.

A PRESTO SULLE BARRICATE

Jacob Sabot- Sulla via dei Lupi

Note:

1- Come scriveva Tavo Burat nella rivista ‘L’impegno’ , nell’aprile del ’97, riferendosi alle Alpi: “…se la situazione nel 43 era coloniale, oggi non sapremmo come definirla”

2- “gli incontri popolari, le assemblee di villaggio e quelle cittadine, costituiscono le istituzioni umane che si sono dimostrate nei tempi, gli strumenti piu’ adatti per un sistema di autogoverno.” Gustavo Buratti “La dichiarazione di Chivasso del 1943: premesse e attualità” – aprile 1997

3- pratica del definire un orario e un luogo di incontro per poi andare sul posto dell’iniziativa, posto conosciuto solo da pochi.

4- Una precisazione sembra necessaria: oggi in Valle si vive una situazione di occupazione militare di luoghi più o meno estesi che, a seconda delle fasi del conflitto, vengono occupati, recintati e sorvegliati da centinaia a volte migliaia di interforze polizia /militari. Ceck point, divieto di muoversi in certe parti del territorio anche per i residenti, autorizzazioni prefettizie per recarsi nei propri campi, schedature di massa, con presa di foto, video e impronte e imposizioni che sfuggono le normali leggi, utilizzo di elicotteri e satelliti per fotografare e controllare la popolazione. Questa situazione ha molte affinità con quanto hanno vissuto e vivono le popolazioni vittime di cataclismi, ovvero: governo dei militari e della polizia sui territori, divieto di assemblee, censura, ecc. L’occupazione militare è uno sviluppo della militarizzazione nelle situazioni di conflitto interno, teorizzato e definito in vari documenti della Nato e delle varie politiche di controinsurrezione, non un eccesso, anche se le anime belle del cittadinismo e dei diritti umani, non lo capiscono e si richiamano alla Costituzione o al Presidente della Repubblica e alla democrazia tradita.

Fonte: metropoLIS rivista on line 6 febbraio 2013

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Scaduto definitivamente il contratto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto.

 

Il contratto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e’
destinato a decadere il 1 marzo 2013, a meno di novita’ dell’ultima ora
da parte del Governo uscente.
Lo ha confermato anche il ministro del Governo Monti allo Sviluppo
economico, Corrado Passera: “A novembre abbiamo emanato un decreto, poi
trasformato in legge, che fissava le condizioni per tenere aperto il
progetto. E sono stati dati oltre quattro mesi di tempo, fino al primo
marzo, per riformulare l’accordo con il contraente generale (il
raggruppamento temporaneo d’impresa “Eurolink”, che avrebbe dovuto
gestire le fasi di costruzione dell’opera, di cui fa parte anche la CMC
di ravenna, con Impregilo come capofila. NDR)”.
La legge in questione, infatti, prevedeva la stipula di un atto
aggiuntivo tra la Società Stretto di Messina ed il contraente generale
Eurolink: atto aggiuntivo che avrebbe dovuto prevedere uno spostamento
dei termini in avanti. Ma questo accordo non e’ stato raggiunto, nè
firmato e, pertanto, come detto decadrà il contratto.
Non possimo che brindare a questo evento, che sembra mettere una pietra
definitiva su questo progetto mortifero e devastante. Consci comunque
che in futuro lo stesso potrebbe anche essere ritirato fuori dal
cilindro dalla politica, connivente come sempre col potere economico e
con le lobby del cemento; consci che in quel caso, come in tutti gli
altri che vedono individui in lotta per la loro sopravvivenza contro la
distruzione del loro ambiente, solo una dura lotta potrà portare a
risultati davvero risolutivi.

coord. NOCMC

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Scaduto definitivamente il contratto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto.

IL CEMENTO NON FERMERA’ LA FORZA DEL FIUME !

Proponiamo un articolo che offre spunti di riflessione sulla questione
delle dighe e dell’energia. CMC costruisce dighe in tutto il mondo, e in
ogni luogo Ed in ognuno di questi posti si porta stravolgimento e
disagi. In val Trebbia esiste una forma di resistenza a questo progetto.

E la storia si ripete…
Sono passati 5 anni dal tentativo di devastare l’ intera valle con l’
intubamento del Trebbia e la costruzione di una centralina idroelettrica
a Confiente, nella meravigliosa confluenza tra l’ Aveto e il Trebbia.
5 anni e ovviamente le istituzioni locali hanno fermamente rispettato
le tradizioni consolidate da tempo…”cadono dalle nuvole” e si
meravigliano pubblicamente di non saper nulla riguardo al nuovo
progetto proposto dai soliti benefattori portatori di progresso e
civiltà in zone, a loro dire, degradate.
Sono gli articoli pubblicati recentemente sulle pagine del quotidiano
locale a diffondere la notizia di avvio della cosiddetta v.i.a
(valutazione impatto ambientale), primo tassello della prassi
burocratica che deve seguire il progetto finalizzato alla costruzione di
una diga e di una centralina idroelettrica che una società genovese
vuole istallare tra i meandri selvaggi del Trebbia all’ altezza di S.
Salvatore.
Tale iter è strettamente necessario per ottenere l’ eventuale consenso
dettato dai burocrati e santificati tecnici rinchiusi nei lussuosi
castelli regionali, luoghi adibiti ai prestigiosi faccendieri a cui si
concede vergognosamente il potere di pianificare il presente e il futuro
di un’ intera valle.
Confindustria, Consorzio di Bonifica, agro-industriali, sono i
sostenitori di questo progetto al quale la popolazione deve soccombere
educatamente, dimostrando l’ adorato “senso civico” nell’ accettare che
la risorsa più preziosa dell’ intera valle, il fiume Trebbia, venga
saccheggiato e diventi fonte di produzione energetica…fonte di
profitto.

Energia? energia per chi? energia per cosa?

Ormai è fatta, troppo acqua è passata sotto i ponti…sarà dura
abbindolare le comunità locali con le solite e nauseanti falsità
riguardo i vantaggi che si potrebbero ottenere nel dare la concessione
alla nascita di questi impianti.
L’ energia prodotta verrebbe immessa nella rete elettrica nazionale e
la bolletta non diminuirebbe di un centesimo.
Come nel caso dell’ orribile villaggio delle terme (colata di cemento
concessa dai poteri forti di Bobbio, in primis un certo Roberto
Pasquali, ex sindaco e uno dei tanti nuovi ambientalisti che si
oppongono alla diga…) in costruzione a monte di Bobbio, la ditta
appaltatrice è siciliana. Gli impianti portano ancora lavoro in valle ?
I sostenitori del progetto sono convinti che sia il mezzo per risolvere
definitivamente il problema della carenza idrica nel periodo estivo .
Aprire la diga del Brugneto per poter far defluire un corretto
quantitativo d’ acqua, è l’ unica, veloce e rispettosa risoluzione del
problema.

Tecnici e politicanti di ogni sorta adoperano professionalmente la loro
lingua biforcuta e le loro consuete scartoffie per inculcarci
democraticamente le fantomatiche Emergenze, anzi le loro emergenze
(create anche con loro indispensabile contributo…), strategie a cui
troppo spesso l’ ubbidiente e sottomessa comunità deve far fronte con
reali sacrifici, richiesti a gran voce dai potenti seduti comodamente al
tavolo di un ricco banchetto da noi, ogni giorno, imbastito.

Energia ? Energia necessaria perchè la luce della ripresa economica di
un sistema suicida possa illuminare la retta via che lo Stato sta
democraticamente tracciando con una carota e mille bastonate…

Energia ? Carburante per una macchina finalizzata alla produzione
(sovra-produzione) industriale di prodotti mentalmente indispensabili in
un mondo consumistico fonte di futili e indotti bisogni.

Pensiamo che sia necessario diffondere una critica sostanziale alle
proposte sbandierate dalla cosiddetta green economy, ovverosia dalla
volontà di creare un illusorio sistema energetico eco-compatibile
fondato sull’ utilizzo delle fonti rinnovabili. Fondamentale è porre in
discussione le logiche d’ accumulazione, l’ approccio antropocentrico (
che legittima il dominio dell’ uomo su ogni essere vivente) e lo
sviluppo illimitato che ne deriva, propagandato come destino
irrinunciabile del pianeta.
A differenza delle realtà associative locali che si sono mosse contro
il progetto, noi ci opponiamo contro la costruzione della diga sia in
Val Trebbia che altrove.

Giochiamo le nostre carte con le modalità e i tempi che riteniamo
opportuni, ma non sottostiamo alle regole del gioco dettate da una
blanda denuncia riformista, mediatica e proiettata a coinvolgere le
autorità locali che per quanto ci riguarda non ci rappresentano e mai lo
hanno fatto, né altrove né in questa valle dove alcuni di noi vivono.
Non siamo interessati a chiedere un futuro differente, ci impegnamo,
con i nostri limiti e difficoltà a riprenderci nelle nostre mani il
nostro presente.Lotteremo con il sorriso sulle labbra ma con caparbietà
e tenacia perchè l’ amore e la passione che ci lega a questa valle, come
ad altre mille sparse per il mondo, sarà la forza vitale per combattere
questo mortifero progetto.
Sentiamo il bisogno di opporci concretamente, in prima persona senza
nessuna delega a partiti politici e ad associazioni filo-istituzionali,
sempre pronte a bussare le porte dei sindaci, assessori, consiglieri
regionali, a cui noi non richiediamo nessuna collaborazione. Siamo ben
consapevoli dei loro compiti istituzionali, solo ostacolo alla nostra
volontà di far crollare le assi portanti di un edificio ormai da tempo
in frantumi, solo di intralcio per vivere intensamente esperienze di
autogestione di una Comunità di donne e uomini liberi da ogni opprimente
e arrogante Potere.

NON STARE A GUARDARE – NON DELEGARE – UNISCITI ALLA LOTTA !

No alla diga, né qui né altrove ! No diga No Tav !

Comitato No diga per info e contatti :
oltrelariga@libero.it

 

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